“I sogni son desideri” recita una famosa canzone. I sogni sono qualcosa di bellissimo e anche di estremamente pericoloso. Ci aiutano nella vita, ci danno gli stimoli per andare avanti e per raggiungere i nostri obiettivi. Sono pericolosi perché il rischio è sempre quello di svegliarsi bruscamente, e di trovarli infranti, caduti rovinosamente a terra. In questo senso suona beffardo il titolo di Dreams, il film di Michel Franco con Jessica Chastain, presentato al Festival di Berlino, alla Festa del Cinema di Roma e in uscita nei cinema italiani il 20 novembre. Dreams ci racconta che non tutti i sogni sono uguali, perché non sono uguali tutti i sognatori. C’è inevitabilmente chi parte in situazioni di svantaggio, e oltre a non avere alcun diritto, pare non avere più neanche quello di sognare. È questo che ci racconta Dreams. Un film che, nella sua apparente semplicità, pulizia e linearità, è più film in uno. Parte come un film politico, diventa un mélo, e svolta verso un apologo morale crudele e amarissimo. Dreams è tutte queste cose insieme. E una prova di bravura e di coraggio da parte di una luminosa star come Jessica Chastain.
Jessica Chastain è Jennifer, una filantropa e un’attivista di San Francisco che si batte per aiutare i migranti messicani. È a capo di una fondazione che è uno spin-off delle grandi aziende del padre, a cui deve comunque rendere conto. Come capiamo ben presto, Jennifer ha una relazione con un giovane ballerino messicano, Fernando (Isaac Hernandez, che fa davvero parte dell’American Ballet) che ha superato illegalmente il confine. Era stato già espulso una volta, nel 2013, ed è quindi considerato dalla legge americana un clandestino.
È l’America di oggi, l’America di Trump. Michel Franco ce la sbatte subito in faccia nei primi dieci minuti del film. Vediamo un gruppo di migranti stipati in un camion chiuso per ore, poi liberi, una volta oltre il confine, costretti a camminare per ore nel deserto, senza un goccio d’acqua. Da subito ne seguiamo uno, Fernando, fino al suo arrivo nella prima città. Sentiamo la sua sete, la sua fame, la sua stanchezza. Quello di cui parliamo, allora, è chiaro fin dalle primissime scene.
Eppure il film cambia bruscamente. E il mondo in cui ci troviamo è quello di Jennifer. È elegante, patinato, ordinato. Gli interni ricchi ed essenziali delle grandi case vuote di San Francisco hanno una funzione narrativa precisa. Quella di operare un netto contrasto con il mondo da cui proviene lui, che non abbiamo visto ma possiamo immaginare. E un altro contrasto tra la freddezza del mondo dell’alta società californiana e la bollente passione tra i due amanti. Confinati, di fatto, in due universi diversi e lontani anche quando sono insieme, i due innamorati sono destinati a vivere una vita raffreddata per poi accendersi quando i due rimangono da soli, non visti. Perché è solo così che possono consumare la loro passione.
È un film che lavora su più piani, questo Dreams di Michel Franco. C’è una relazione fra un uomo e una donna, prima di tutto. Ed è interessante come, all’inizio sembrino ribaltarsi i ruoli. Lei è bellissima, è ricca, è potente. Lui non ha nulla, se non il talento, la gioventù e la prestanza fisica. Eppure è lui, orgoglioso e deciso, a condurre il gioco. È lui che fugge ed è lei che insegue. Riesce a dare a lui quasi tutto, ma non tutto. Riesce a darsi a lui ma non totalmente. Non lo presenta mai come il suo compagno, ma come un insegnante di danza di un progetto dei suoi, poi come ballerino del balletto di San Francisco. Non dice mai apertamente “stiamo insieme”. È un primo, elementare, gioco di potere.
Perché il secondo piano è un gioco di potere diverso. È quello originato delle classi sociali, delle caste, del proprio posto nel mondo. Classi che non si possono scalare. Non si è mai potuto farlo, men che meno nell’America di oggi. L’amore tra Jennifer e Fernando allora è un amore impossibile (ecco l’elemento del mélo) come quello di una tragedia, come in un Romeo e Giulietta aggiornato agli Stati Uniti del XXI Secolo. Jennifer e Fernando possono arrivare talmente vicini da fondere i loro corpi, eppure tra loro continua ad esserci una barriera invisibile. I condizionamenti sociali sono qualcosa di incrollabile. Non ci sono solo i muri tra Messico a Stati Uniti. Ci sono anche quelli tra le persone. E così nel primo dei colpi di scena che arriva a dieci minuti dalla fine – e che è bene non svelare – esce la vera natura di Jennifer, la sua ambiguità, il suo egoismo, quel potere e quel controllo che credevamo non avesse. Il finale, che arriva proprio negli ultimi secondi ed è ulteriormente sconvolgente, è il segno che ci sarà sempre un intero mondo destinato a prevalere sull’altro.
Al centro di tutto c’è una Jessica Chastain bellissima e magnetica, i proverbiali capelli rossi e un corpo sensuale e vibrante. Un’attrice che si mette a nudo con coraggio in scene molto forti, che sono fondamentali per raccontare il rapporto tra i due protagonisti e per far capire quanto sia ancora più forte quello che confligge con loro. C’è un muro incrollabile tra due mondi, oggi, tra quello che sta a nord e quello che sta a sud. Una volta ci avevano detto che l’amore poteva vincere tutto. Ma non è così.
di Maurizio Ermisino
Questo slideshow richiede JavaScript.










